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Verifiche decennali
Gli apparecchi di sollevamento sono soggetti a cicli di carico, ossia ad attività di fatica strutturale che, con il passare del tempo e sotto l’azione di carichi variabili, possono portare al deterioramento di sezioni strutturali e al conseguente rischio di cedimenti. E’ per questo motivo che i funzionari pubblici AUSL/ARPA, titolari delle verifiche periodiche e straordinarie, possono prescrivere, in particolare quando gli apparecchi superano i 10 anni di vita, una verifica più approfondita rispetto alla consueta verifica periodica annuale. Questa ispezione prescritta prende il nome di verifica strutturale e serve a stabilire, sulla base delle condizioni della struttura, quanti cicli di vita residui rimangono agli apparecchi rispetto a quanto stabilito dal costruttore. Gli apparecchi di sollevamento infatti sono progettati per funzionare per un tempo definito, perciò quando si raggiunge il numero di cicli previsti, la struttura non conserva più le caratteristiche di sicurezza originarie. Esistono diverse norme tecniche che indicano 10 anni come termine massimo per una verifica strutturale, valore di 10 anni che ripetuto ha nel tempo fatto nascere la cosiddetta verifica “decennale” come sinonimo di verifica strutturale. Rimane il fatto che, anche se non vi è al momento un preciso requisito di legge per le verifiche strutturali, dopo 10 anni dalla messa in servizio decade la responsabilità del produttore, ma rimane in obbligo all’utilizzatore di garantire il mantenimento di adeguati livelli di sicurezza delle attrezzature di lavoro (Art. 71 del D.lgs 81/08). Pertanto per tutelarsi da cedimenti, rotture o inefficienze è buona prassi affidarsi a personale specializzato che certifichi le condizioni della macchina e ne garantisca gli ulteriori cicli di vita.
Metodo visivo ( VT )
Sia le Norme tecniche delle costruzioni, sia la norma En 1090 prevedono che i controlli visivi vengano fatti sul 100% delle saldature e si usano per rilevare difetti superficiali come ad esempio la mancanza di allineamento. Questi esami consentono di rilevare solo difetti macroscopici superficiali; sono però un ottimo strumento per pianificare i più opportuni metodi strumentali di indagine da applicare. Rif. Uni En Iso 17637:2011, En 970.
Il controllo non distruttivo visivo è un metodo di controllo utilizzato per individuare imperfezioni che affiorano alla superficie dei pezzi, che devono essere opportunamente illuminati. In molti casi esso viene condotto con l’ausilio dei soli occhi o di dispositivi d’ingrandimento, e quindi senza modificare o distruggere il materiale in esame. Nel controllo non distruttivo con metodo visivo (VT) l’interpretazione e la valutazione dei risultati viene effettuata oggettivamente dall’operatore in base a specifici parametri di accettabilità della particolare difettologia del componente in esame. Naturalmente la competenza tecnica e la grande esperienza del personale addetto ai controlli sono essenziali per assicurare sensibilità e l’affidabilità del risultato.
Essi vengono generalmente suddivisi in:
  • ESAMI VISIVI DIRETTI:possono essere utilizzati quando sia possibile accedere con gli occhi ad una distanza della superficie in esame non maggiore di circa 60 cm con una angolazione non inferiore a 30°. Per migliorare ingrandimenti e visuale possono essere utilizzati lenti e specchi. L’illuminazione, effettuata con opportune lampade, deve essere compresa tra i 150 ed i 600 lux.
  • ESAMI VISIVI REMOTIZZATIvengono generalmente utilizzati quando non è possibile accedere direttamente all’oggetto od alla superficie da esaminare. Allo scopo vengono utilizzate apparecchiature più o meno sofisticate, quali ad es. specchi, telescopi, endoscopi, fibre ottiche, telecamere, ecc. In ogni caso, qualunque sia il mezzo utilizzato, gli strumenti devono avere una risoluzione almeno equivalente a quella dell’occhio umano.
Il metodo magnetoscopico (MT)
Il Controllo non Distruttivo Magnetoscopico (o con particelle magnetiche) è un metodo di controllo atto a individuare imperfezioni superficiali, e talvolta anche subsuperficiali, in pezzi di materiali ferromagnetici. Esso è basato sul fenomeno per cui, qualora un pezzo di materiale ferromagnetico magnetizzato presentasse imperfezioni, le linee del flusso magnetico subirebbero una deviazione esattamente in corrispondenza di tali imperfezioni. In particolare, se l’imperfezione fosse prossima alla superficie o, meglio ancora, sfociasse su di essa, le linee di flusso magnetico fuoriuscirebbero dal pezzo, compiendo un tratto di percorso esternamente alla superficie del pezzo. In questo caso l’imperfezione viene rivelata cospargendo sulla superficie particelle magnetiche: l’addensamento di tali particelle in corrispondenza dell’imperfezione ne consente l’individuazione. Per aumentare la visibilità, alle particelle magnetiche può essere aggiunto un pigmento colorato o anche fluorescente. Il controllo megnetoscopico deve essere considerato un controllo per rivelare cricche affioranti (di validissima integrazione all’esame visivo) o molto prossime alla superficie ed è limitato ai materiali ferrosi.
Il metodo liquidi penetranti
Questa tecnica di prova non distruttiva sfrutta la capacità di alcuni liquidi di penetrare, per capillarità e non per gravità, all’interno dei difetti superficiali (cricche, cavità, ecc). La bassa tensione superficiale e la buona bagnabilità di questi liquidi, ne assicurano la penetrazione anche all’interno di discontinuità sottilissime. Dopo l’applicazione e la penetrazione del liquido (detto appunto penetrante), operazione che richiede un tempo variabile a seconda del tipo di prodotto utilizzato, del tipo di materiale da ispezionare e del tipo di discontinuità da rilevare, il liquido penetrante eccedente è rimosso dalla superficie mediante lavaggio con acqua corrente fredda. Dal momento che l’acqua presenta tensione superficiale più elevata e bagnabilità peggiore rispetto al penetrante, non è in grado di rimuovere lo stesso dalle fessure nel quale è penetrato per capillarità. Dopo il lavaggio, sfruttando ancora una volta il principio della capillarità, viene estratto il liquido penetrante rimasto all’interno delle difettosità; l’operazione viene compiuta stendendo sulla superficie del pezzo uno strato di polvere bianca di opportuno spessore (rivelatore). Il liquido penetrante “risalito” per capillarità, lascerà nel rivelatore un segnale avente dimensioni molto maggiori rispetto al difetto che lo ha generato. A seconda della tecnica applicata il difetto potrà essere evidenziato in vari modi: o come una macchia di colore rosso (tecnica visibile o a contrasto di colore) o come macchia fluorescente (tecnica con liquido fluorescente) facilmente rilevabile mediante irradiazione, al buio, con luce di Wood. Il metodo non è privo di difficoltà nemmeno nella valutazione del difetto, infatti, a volte le lavorazioni meccaniche determinano delle “indicazioni” di difettosità che possono essere risolte solo da un operatore particolarmente esperto.
L’ispezione con liquidi penetranti è un metodo particolarmente idoneo per evidenziare e localizzare discontinuità superficiali, quali cricche, porosità, ripiegature, in modo veloce ed economico e con grande accuratezza su tutte le tipologie di materiali, acciai, leghe di rame, leghe di alluminio, vetro, plastica ad altro, senza alcune limitazione della forma dei componenti stessi. Contrariamente ai controlli magnetici, i liquidi penetranti possono essere applicati con successo su qualsiasi componente, indipendentemente dalla geometria o dal materiale dello stesso (fatti salvi pezzi porosi, come ad esempio i sinterizzati o i getti di ghisa oppure pezzi con superfici particolarmente rugose). 
L’ispezione con liquidi penetranti è un metodo particolarmente idoneo per evidenziare e localizzare discontinuità superficiali, quali cricche, porosità, ripiegature, in modo veloce ed economico e con grande accuratezza su tutte le tipologie di materiali, acciai, leghe di rame, leghe di alluminio, vetro, plastica ad altro, senza alcune limitazione della forma dei componenti stessi. Contrariamente ai controlli magnetici, i liquidi penetranti possono essere applicati con successo su qualsiasi componente, indipendentemente dalla geometria o dal materiale dello stesso (fatti salvi pezzi porosi, come ad esempio i sinterizzati o i getti di ghisa oppure pezzi con superfici particolarmente rugose). 
Metodo metallografico
Scopo dell’esame macrografico è quello di osservare a occhio nudo o a bassi ingrandimenti diverse informazioni sul materiale osservato o su un giunto saldato. Le superfici, opportunamente pulite e levigate ed eventualmente attaccate con acidi, possono evidenziare difettologie. In particolare l’esame macroscopico ha lo scopo di rivelare la macrostruttura del materiale, nonché la presenza di eterogeneità chimiche (segregazioni), di varietà strutturali intenzionali, quali, per esempio, quelle procurate da trattamenti termici particolari, da processi di saldatura, da deformazioni plastiche (fibrosità), o di difformità strutturali accidentali quali, per esempio, decarburazione superficiale, etc. La verifica permette inoltre di esaltare l’eterogeneità fisiche quali fessurazioni, porosità, cricche, inclusioni, incisioni, punzonature ed in generale deformazioni lineari. Il reagente chimico agisce di norma attraverso una dissoluzione preferenziale, creando così differenze d’attacco che permettono la successiva osservazione. La sensibilità dell’attacco può essere graduata regolando la composizione del reagente, la sua concentrazione e la temperatura. Nella situazione di attacco con acido si ottengono informazioni non solo relative ai difetti superficiali, di cui sopra si fa riferimento, ma anche indicazioni relative ai trattamenti superficiali che un metallo può aver subito e ciò si evince attraverso una differente colorazione; il contatto infatti del reattivo chimico con la superficie lucida farà reagire i vari componenti con diversa riflessione della luce